GIOVANI SGUARDI
Giovani Sguardi – rassegna di teatro per adolescenti
Lo sguardo sugli spettacoli dell’Osservatorio dei Ragazzi
Maggio 2023
Giovani Sguardi: un festival pensato per gli adolescenti. Una sfida: è vero che siamo abbastanza grandi, ormai, per vedere gli spettacoli per adulti, ma questo rischia di farci sentireun vuoto, la mancanza di uno sguardo nei nostri confronti. Esistono libri, serie tv, film per gli adolescenti, ma a teatro a volte ci sembra di non esistere. Per questo, la rassegna Giovani Sguardi promossa dalla Fondazione Trg di Torino, il luogo dove frequentiamo corsi di teatro, è stata importante prima di tutto perché ci ha fatti sentire al
centro di qualcosa pensato proprio per noi. E questa è stata la cosa più bella di tutte.
From Syria: is this a child?
Il primo spettacolo programmato è stato “From Syria: is this a child?”, ideato e diretto da Nicola di Chio e Miriam Selima Fieno. Una lezione di vita molto importante: ci aspettavamo uno spettacolo sulla guerra, ma è stato molto di più.
Come prima cosa, questo spettacolo fa capire che ogni dolore ha il proprio valore e il proprio diritto di esistere. Nessun dolore equivale a quello degli altri, poiché ognuno percepisce e supera il dolore a proprio modo.
In scena all’inizio c’è Giorgia, una ragazzina che, con l’aiuto di proiezioni e video usati in modo molto originale, ci mostra immagini della sua infanzia e ci parla della sua vita e di come è cresciuta, raccontandoci della separazione dei suoi genitori e del suo dolore – che lei chiama Pippo – e di come lei provasse invano a tenerlo a bada. La stessa cosa che farà Abdo, che però l’infanzia l’ha passata in Siria, lavorando in un ospedale curando i feriti. Poi Abdo viene in Italia e Giorgia diventa sua amica, senza compatirlo, ma cercando di capire che cosa l’amico abbia passato e che cosa stia succedendo in Siria. Proprio come Abdo cercherà di capire il dolore di Giorgia. Come fanno due amici.
È stato emozionante: mentre Giorgia parlava della separazione dei genitori, un ragazzo in sala è scoppiato a piangere. È bello quando il teatro ha questo potere.
Tutto quello che volevo: storia di una sentenza
Siamo andati a vedere “Tutto quello che volevo: storia di una sentenza” di e con Cinzia Spanò con delle aspettative molto alte. Non tutti conoscevamo il caso che sarebbe stato trattato. Leggendo dello spettacolo, ci eravamo fatti un'idea che, una volta usciti dal teatro, abbiamo cominciato a reputare riduttiva. Infatti il processo intorno al quale ruota lo spettacolo viene sfruttato in maniera molto più estesa rispetto a quanto ci aspettassimo; si arriva a parlare di argomenti interessanti e profondi che ci riguardano anche da molto vicino.
Tutti i temi trattati sono risultati pertinenti e hanno avuto occasione di essere affrontati e sviluppati con attenzione. L’opinione che avevamo prima di vedere lo spettacolo, anche se positiva, non conteneva tutto quello che effettivamente abbiamo avuto l'occasione di vedere: le prime aspettative non solo sono state rispettate, ma possiamo dire largamente superate.
Soprattutto, abbiamo riflettuto su quanto le storie possano essere modificate bruscamente dalle notizie e dai giornali: non solo esistono le fake news, ma anche notizie vere possono essere storpiate fino a modificare la realtà nella percezione di chi legge. Questo è un pericolo che è importante conoscere.
Questo tipo di teatro si potrebbe definire una sorta di "Docu-Teatro", perché rappresenta proprio un documento riguardo il caso delle cosiddette "Baby-Squillo”. Lo spettacolo è una difesa nei confronti delle due giovani, che purtroppo hanno sofferto di una vittimizzazione secondaria. Lo svolgimento è interessante anche per la scenografia, qui nuda e senza alcun tipo di impalcatura.
L’attrice, poi, è stata bravissima a tenere da sola la scena. L'unico difetto, secondo noi, si può trovare nel contenuto. Ad un certo punto c'è un discorso che abbiamo trovato piuttosto ridondante relativo agli stereotipi di genere e al ruolo della donna nella società: questa digressione non ci ha convinti molto, troviamo che potesse essere più stringata e incisiva e con meno luoghi comuni. Per il resto stiamo parlando di un ottimo spettacolo, che parla di adolescenza e di sedute in tribunale, accusando violentemente i clienti, tutti esponenti dell'alta borghesia romana. È uno spettacolo profondo e provocatorio che ci sentiamo di consigliare a tutti, perché continua a vivere anche dopo la fine grazie alle domande e alla nuova prospettiva che fa nascere dentro di te.
Io esco
“Io esco” di Babilonia Teatri è un’installazione artistica che tratta il tema della casa per i giovani: che cosa significa sentirsi a casa? Che cosa significa uscire? E scegliere di restare dentro?
L’installazione/performance cerca non tanto di dare delle risposte, quanto più di offrire degli stimoli di riflessione e delle immagini a cui ciascuno può associare ricordi e sogni, aspettative e sensazioni. L’installazione, nata con la collaborazione di adolescenti che sono entrati a far parte della performance stessa, cerca di trovare luoghi che siano come delle abitazioni per gli adolescenti. Grazie alle opere di cinque artisti (una fotografa, un’illustratrice, un sound designer, un illustratore e un videomaker) siamo entrati nella città di Torino con gli occhi di alcuni ragazzi. Passando per le loro riflessioni abbiamo visto dove stanno bene, da dove vorrebbero scappare e dove vorrebbero andare. Da dove vorrebbero e da dove non vorrebbero uscire. Un percorso emotivo che ci mostra una città unica e intima attraverso il punto di vista di alcuni adolescenti.
Lo spettacolo, se si può definire teatro, è puro teatro sperimentale: di fatto, definiremmo piuttosto “Io esco” una mostra o, appunto, un’installazione. Alcuni di noi hanno fatto fatica a capire il messaggio della performance: qualcosa è arrivato, un qualcosa però di impreciso e di indeterminato, che rappresenta perfettamente il periodo nel quale tutto il nostro gruppo si trova, cioè l’adolescenza.
Barbie e Ken: riflessioni su una felicità imposta
“Barbie e Ken” di Letizia Buchini, Filippo Capparella e Saskia Simonet è uno spettacolo ambientato negli scaffali di un negozio di giocattoli. I due protagonisti, i famosi giochi per bambini, si troveranno quasi involontariamente a riflettere sulle proprie condizioni mentre si costringono a vivere nei ruoli che sono stati loro assegnati. Innanzitutto bisogna fare un plauso ai tempi comici e all’interazione col pubblico, soprattutto durante una scena incentrata sul pudore che noi abbiamo nei confronti dell’unione e della
fusione dei corpi durante il rapporto. I due attori, poi, sono stati davvero bravi a mantenere viva l’attenzione.
Lo spettacolo comincia con una scena quasi onirica in cui i due, nascosti dietro un telo opaco, conversano.
“Perché sei felice, Ken?”
“Perché sorrido.”
Da quel momento tutto girerà intorno alla ricerca della felicità perfetta, imposta, appunto, che i due recitano, ma che in realtà non riescono a sentire. I due iniziano semplicemente a parlarsi e arrivano presto a provare a fare sesso: Ken, che non sa come si faccia, si trova costretto a chiedere consigli al pubblico che, imbarazzato dalla domanda, gli darà con riluttanza informazioni incomplete e confuse che lui tenterà
goffamente di seguire. I due, poi, arrivano a litigare e, in un apice di confusione, a trovare una lucida consapevolezza: forse, oltre alla felicità, esiste anche altro. A questo punto entreranno in una sorta di paradiso contemporaneo e li vedremo dietro al telo che li copriva all’inizio a scambiarsi, nudi, una mela.
Questa mela, chiaro riferimento biblico, viene percepita da loro come peccato, e quindi come frutto della conoscenza del bene e del male; una mossa drammaturgica davvero interessante, che ribalta l’archetipo della male come peccato del mondo. La mela diventa simbolo di una sorta di “peccato positivo”.
Alcune scene avevano un ritmo comico pazzesco e una regia davvero interessante. In particolare, è stata bellissima la scena che segue il tentativo di Barbie e Ken di fare sesso: in questo intermezzo, Barbie chiede a Ken se si è mai accorto che le mele che mangiano sono di plastica, di fatto anticipando il finale.
La prima a porsi delle domande è Barbie: è lei che vuole scoprire il sesso e la felicità e rompere il ruolo che le è stato imposto, mentre Ken risulta più riluttante a parlare del sesso, che per lui resta a lungo un argomento tabù. Ed è proprio questo che alcuni di noi hanno trovato affascinante: lei è quella difettosa, che impersona Eva e che porge ad Adamo la mela, trasmettendogli il peccato tramite una ricerca non consentita. Un peccato di plastica: finto. Un peccato creato da noi, dalla società, dai nostri standard e
pregiudizi. E loro, iper-caratterizzati modelli della società moderna, si passano e ci mostrano questo peccato-non peccato. Una Barbie difettosa, un Ken spaventato e una mela di plastica riflettono il mondo in cui viviamo; le scatole che li contengono, allora, diventano le prigioni che continuiamo ancora a
costruire per loro e per noi stessi. La sensazione quasi angosciante che lo spettacolo trasmette, i protagonisti nudi, il leitmotiv sonoro (“oh yeah”) che ci accompagna a ogni menzione dell’amore perfetto di Barbie e Ken: questi e altri sono gli elementi che contribuiscono a rendere quest’opera così forte e unica nel suo genere.
E così, quando finisce, resti con una domanda cui è molto difficile dare una risposta: “Per me che cosa esiste, oltre alla felicità?” E anche: “Sono anche io, magari senza accorgermene e involontariamente, trappola di questo sistema?” Uno spettacolo grandioso, che speriamo venga diffuso il più possibile.
I ragazzi e le ragazze di Giovani Sguardi:
Sofia Bazzani, Giacomo Cremona Righetti, Gloria Cortese, Alice Demateis, Chiara Di Paolo,
Letizia Garrone, Chiara Marchis, Vittoria Negro, Beatrice Olivetti, Niccolò Salerno, Caterina
Stanchi e Fabiana Tomasi